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Testimonianza dalle prigioni israeliane, dove le torture sono quotidianità

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Jenin, Palestina – Il viso è scavato, la pelle bianca tirata sugli zigomi sporgenti. Gli occhi, stanchi ma spalancati, non si fermano mai. Abed è appena uscito dalla prigione di Al-Naqab, nel sud di Israele, cinque giorni fa. Ancora non ci crede. «Ho perso 60 chili in meno di un anno». Mostra una gigantografia di se stesso appesa all’ingresso: un uomo in carne, muscoloso, sorride con una bambina piccola in braccio. «Quella è mia figlia, quello sono io. È passato un anno». L’uomo che ho davanti pare lo spettro dell’immagine appesa. Nemmeno la bambina che zompetta dietro di noi sembra riconoscerlo: quando il padre la chiama, si butta tra le braccia del cugino, quasi spaventata. «Mia figlia quando mi ha visto per la prima volta si nascondeva, mi chiamava zio. É stato tristissimo». Abed ha 29 anni, di mestiere faceva il panettiere. L’hanno arrestato nel dicembre scorso, in un raid notturno dove i militari israeliani sono entrati nella sua casa sfondandogli la porta, spaccando vari mobili e finestre. E l’hanno portato via. Non avrà più notizie della sua famiglia né nessun contatto con il mondo esterno fino al 30 novembre 2024.
Articolo di riferimento: https://www.lindipendente.online/2024/12/09/testimonianza-dalle-prigioni-israeliane-dove-le-torture-sono-quotidianita/
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