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“Marko Polo”, intervista alla regista Elisa Fuksas

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Alla 19ª edizione della Festa del Cinema di Roma, FRED Film Radio ha intervistato Elisa Fuksas, regista di Marko Polo, film presentato nella sezione Freestyle.

L’importanza del fallimento

“Marko Polo” nasce da un fallimento, quello di un film al quale Elisa Fuksas aveva lavorato e che non ha mai visto la luce. Ma prendendo in prestito le parole che risuonano ne “Il tempo che ci vuole” di Francesca Comencini in cui si parla di “fallire ancora, fallire meglio”, anche Elisa Fuksas è riuscita ad accettare con più tenerezza quel film mai realizzato? “I fallimenti sono essenziali quanto i successi”, commenta la regista. “E soprattutto successo e fallimento non sono uno il contrario dell’altro. Sono felice che quel film non esista più. Nel senso che la realtà ha le sue logiche, il suo ordine e quello che riesce a venire al mondo vuol dire che ha più senso e più necessità di venire del resto. Credo ci sia proprio una spinta, una vitalità nelle cose e nei progetti che va anche un po’ accettata”.

La nave come limbo

In “Marko Polo” i personaggi si ritrovano su una grand nave diretta a Medjugorje che assume i contorni di un limbo e che Elisa Fuksas riprende con inquadrature geometriche. “É vero che è un limbo, ma perché è uno spazio psichico. E non c’è un limbo più enorme e infinito della nostra psiche”, commenta la regista. “In realtà sono molto istintiva, quando vedo un’immagine che mi piace la riconosco subito e lavoro sempre con la stessa persona, Emanuele Zarlinga, il direttore della fotografia. C’è un codice immediato tra di noi. Parte tutto da un luogo che mi deve parlare e mi deve incantare”.

Fede e dubbio

Anche i lavori precedenti di Elisa Fuksas sono intimi e personali. E a fare da filo conduttore è spesso il dubbio che la regista ha per la sua stessa fede. “Fede e dubbio sono sinonimi, quasi come vita e morte. Credo che abbiamo sempre bisogno dell’alternanza, prima di tutto per andare avanti, per progredire e proseguire, e poi per capire”.

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L’importanza del fallimento

“Marko Polo” nasce da un fallimento, quello di un film al quale Elisa Fuksas aveva lavorato e che non ha mai visto la luce. Ma prendendo in prestito le parole che risuonano ne “Il tempo che ci vuole” di Francesca Comencini in cui si parla di “fallire ancora, fallire meglio”, anche Elisa Fuksas è riuscita ad accettare con più tenerezza quel film mai realizzato? “I fallimenti sono essenziali quanto i successi”, commenta la regista. “E soprattutto successo e fallimento non sono uno il contrario dell’altro. Sono felice che quel film non esista più. Nel senso che la realtà ha le sue logiche, il suo ordine e quello che riesce a venire al mondo vuol dire che ha più senso e più necessità di venire del resto. Credo ci sia proprio una spinta, una vitalità nelle cose e nei progetti che va anche un po’ accettata”.

La nave come limbo

In “Marko Polo” i personaggi si ritrovano su una grand nave diretta a Medjugorje che assume i contorni di un limbo e che Elisa Fuksas riprende con inquadrature geometriche. “É vero che è un limbo, ma perché è uno spazio psichico. E non c’è un limbo più enorme e infinito della nostra psiche”, commenta la regista. “In realtà sono molto istintiva, quando vedo un’immagine che mi piace la riconosco subito e lavoro sempre con la stessa persona, Emanuele Zarlinga, il direttore della fotografia. C’è un codice immediato tra di noi. Parte tutto da un luogo che mi deve parlare e mi deve incantare”.

Fede e dubbio

Anche i lavori precedenti di Elisa Fuksas sono intimi e personali. E a fare da filo conduttore è spesso il dubbio che la regista ha per la sua stessa fede. “Fede e dubbio sono sinonimi, quasi come vita e morte. Credo che abbiamo sempre bisogno dell’alternanza, prima di tutto per andare avanti, per progredire e proseguire, e poi per capire”.

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